Internet e più in generale gli strumenti digitali sono ormai integrati nella nostra vita quotidiana, diventando un’estensione naturale delle nostre conoscenze: passiamo tempo online, ci facciamo i fatti degli altri, se stiamo cercando qualcosa ricorriamo a Google o chiediamo direttamente a Siri.
Anche chi inizia a sentire il peso di questa “connessione continua” e cerca di ritrovare un equilibrio attraverso periodi più o meno lunghi di “digital detox”, è comunque consapevole che ormai la dimensione digitale è imprescindibile; questo comporta conseguenze su tutte le nostre relazioni, anche quelle medico-paziente.
In un mio precedente articolo, La buona salute dello studio odontoiatrico si cura online, ho descritto l’ipotetico customer journey di una persona che si trovi nelle condizioni di aver bisogno di un dentista: chi incontrerà nel suo cammino?
Farsi trovare quando qualcuno ha bisogno di noi è fondamentale per chiunque offra un servizio e lo è ancora di più che la persona, nel momento in cui ci incontra, abbia da subito una buona impressione di noi e capisca ciò che possiamo — o non possiamo — fare.
Per realizzare una comunicazione efficace tuttavia è importante che facciamo un passo avanti e comprendiamo appieno una distinzione fondamentale: quella fra domanda diretta e domanda latente.
La domanda diretta si manifesta nel momento in cui la persona è consapevole di avere un bisogno: può trattarsi di un’otturazione saltata, di un dente del giudizio che non trova la sua strada, di un inestetismo percepito su cui vogliamo intervenire. Non è detto che la persona sappia esattamente di quale intervento ha bisogno, né che esprima il suo bisogno nei termini giusti, anzi probabilmente userà parole diverse da quelle che userebbe un professionista, ma sa che sta cercando qualcosa.
La domanda latente invece si ha quando la persona non è consapevole di avere un bisogno, ma le sue caratteristiche — età, condizione sociale, stili di vita — fanno sì che sia potenzialmente interessata a un servizio. La persona non sa nemmeno dell’esistenza di una possibile soluzione, quindi dal suo punto di vista non c’è domanda ma, se riusciamo a intercettare la sua attenzione, è possibile che la domanda latente si trasformi in domanda diretta. Faccio un esempio personale: finché mio figlio non ha fatto il primo controllo dentistico, non conoscevo affatto l’esistenza della sigillatura dei molari, ero quindi nelle condizioni di essere interessata a farla, ma non mi sarei mai messa a cercare su Google qualcosa del genere. Quando la nostra dentista ce ne ha parlato, sapere che potevamo dimezzare il rischio di carie con un’operazione veloce e indolore e decidere di fargliela fare è stato un tutt’uno.
Ho parlato di domanda diretta e latente e di come intercettarle e rispondervi, con il mio collega Emanuele Tamponi, che con me terrà in autunno un corso sul marketing digitale dello studio dentistico.
- Emanuele, dal tuo punto di vista di strategist specializzato in search marketing, questa distinzione ha senso?
Sì, ha molto senso. È infatti una distinzione di massima che è utile adottare per fare ordine e tradurre le idee in azioni coerenti ed efficaci.
L’aspetto più importante è che è una visione delle cose che invita ad assumere i panni delle persone di cui ci interessa l’attenzione. Cosa vogliono risolvere? Quanto sono consapevoli del problema e delle soluzioni? Di quali informazioni hanno bisogno per decidere? E come far saper loro, nella maniera più efficace possibile, che ciò che abbiamo le aiuterà?
Ci sono infatti situazioni in cui una persona ha bisogno di risolvere un problema in tempi rapidissimi (un’infiammazione molto dolorosa, un dente rotto, ecc) e vuole capire quale dentista può aiutarla, nel più breve tempo possibile.
Poi ci sono altri contesti in cui servono più informazioni — e quindi tempo — per decidere finalmente di risolvere una questione importante ma non per forza urgente, come può essere un impianto dentale.
Ci sono infine casi in cui le persone non sono ancora pienamente consapevoli che esiste una soluzione che risolverebbe alcuni problemi, come ricordavi tu facendo l’esempio della sigillatura dei molari.
Per ognuna di queste circostanze esistono modi diversi di approcciarsi: in alcuni casi sono i motori di ricerca il canale di incontro privilegiato, altre volte lo sono gli annunci a pagamento sui quotidiani (online e di carta) oppure sui social, senza dimenticare l’email marketing e le altre formule pubblicitarie.
Solamente avendo le idee chiare sulla persona con cui vogliamo parlare (e quindi quale problema vuole risolvere, almeno a grandi linee) possiamo decidere tempi, modalità e messaggio da veicolare, che è uno dei passi da compiere per instaurare un clima di fiducia anche con persone che non ci conoscono.
“Prima le persone” significa questo: porre al centro della comunicazione i loro dubbi, il loro bisogno informativo, la loro implicita necessità di fare la scelta giusta. Con internet la comunicazione tra medico e paziente inizia ben prima del momento in cui quest’ultimo si accomoda sul riunito: è una dinamica da curare con la dovuta attenzione.
- Una citazione che amo molto è quella attribuita a Edward Deming, “senza dati, sei solo un’altra persona con delle opinioni”. Quali strumenti ci possono dare dati utili su cui basare le nostre scelte?
È una citazione che piace molto anche a me: la creatività è una cosa preziosa, serve moltissimo anche durante una campagna di comunicazione su internet, ma alla fine dobbiamo fare i conti con ciò che ha funzionato e cosa no, per fare una pubblicità migliore e spendere meglio tempo e denaro.
Ha prodotto più risultati l’attività sui motori di ricerca o quella campagna su Facebook? Lavora meglio questo annuncio (con questa grafica, questo testo, ecc) o quest’altro? Ho un blog: ma mi è servito per raggiungere i miei obiettivi? Sono domande legittime, la cui risposta è contenuta appunto nelle analitiche.
Ci sono molti strumenti analitici, anche gratuiti, che ci aiutano a rendere più chiara la situazione: su tutti ricordo Google Analytics, che mostra i dati di ciò che accade sul nostro sito, e poi gli insight di Facebook, che invece ci aiutano a comprendere come vanno le cose sulla nostra pagina Facebook. Entrambi raccolgono moltissime informazioni, sia di carattere demografico (una serie di dati aggregati su chi ha mostrato più interesse nei confronti del nostro progetto), ma anche in termini di risultati (quale azione pubblicitaria ha funzionato meglio).
In estrema sintesi: le analitiche ci consentono di controllare cosa sta accadendo, di fare delle ipotesi per ottenere più risultati e poi di verificarle, in un processo di miglioramento continuo che poi è alla base di un approccio efficace di fare pubblicità e comunicazione online.
Non voglio dire che sia tutto semplice, a partire dalla difficoltà di capire quali metriche, tra le centinaia a disposizione, ci sono veramente utili. Ma con un po’ di pazienza e buona volontà anche chi è a digiuno di web marketing può cominciare a prendere familiarità con questi strumenti: è un investimento importante per chi vuole prendere decisioni con una maggior consapevolezza.